Sei felice? (con Giuseppe di Progetto Happiness)
Questa è Filo, la newsletter che districa le cose che ingarbugliano i pensieri.
La rincorriamo senza sapere bene dove stia, spesso la scambiamo per altro e quando ce l’abbiamo ci chiediamo se è abbastanza. In questa puntata parliamo di felicità.
Più ti chiedi se sei felice e meno lo sei.
Sembra una frase uscita da un biscotto della fortuna, ma è stato dimostrato da uno studio che ha coinvolto più di 1800 persone. Non è la ricerca della felicità in sé a farci male, quanto metterla sotto esame quando ce l’abbiamo: le persone che si chiedevano più spesso “Dovrei essere più felice di così?” riportavano livelli più bassi di benessere psicologico, una maggiore tendenza alla delusione e più sintomi depressivi1.
Ansia da prestazione
C’è una differenza sottile ma importante tra voler essere felici e vivere facendo cose che ci rendono felici. Uno studio condotto nei Paesi Bassi ha scoperto che puntare tutto sulla felicità non ci rende automaticamente più soddisfatti della vita. Anzi, a lungo andare può aumentare sia le emozioni positive che quelle negative, creando una specie di altalena emotiva difficile da gestire2.
Più cerchiamo di essere felici a tutti i costi, più ci sentiamo sotto pressione, questa ansia da prestazione ci crea delusione e frustrazione.
Secondo lo studio, dovremmo smettere di trattare la felicità come un traguardo e iniziare a vederla per quello che è davvero: una conseguenza naturale di ciò che facciamo ogni giorno.
“Ma come posso essere più felice nella mia vita quotidiana?”
Un gruppo di ricercatori di Singapore ha cercato di dare una risposta a questa domanda, concentrandosi sulla “prioritizzazione della positività”: significa organizzare la giornata mettendo al centro esperienze piacevoli che ci fanno stare bene. Lo studio ha coinvolto centinaia di studenti universitari che per due settimane hanno raccontato come avevano vissuto la giornata, quanto avevano cercato di dare spazio a momenti positivi e quanto si erano sentiti felici e soddisfatti. Nei giorni in cui davano più importanza a esperienze piacevoli rispetto al loro solito, erano più felici3.
Insomma, la ricerca della felicità non è una cosa semplice: mentre cercare di acciuffarla può essere controproducente, strutturare la giornata per valorizzare esperienze piacevoli ci fa stare davvero bene. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Bertuccio D’Angelo di Progetto Happiness (@progettohappiness), che un giorno si è messo lo zaino in spalla e ha deciso di girare il mondo alla ricerca della ricetta della felicità e ci ha permesso di accompagnarlo nella tappa di New York.
Cos’hai capito sulla felicità?
Che la felicità non è qualcosa che si conquista… è qualcosa che si riconosce.
All’inizio del mio viaggio pensavo che la felicità fosse legata ai luoghi straordinari, alle esperienze forti, alle grandi risposte.
Poi ho capito che è molto più sottile.
La felicità non ha una forma fissa. È liquida, cambia, si adatta a chi sei e a dove sei nella tua vita. A volte è una risata in mezzo al niente, altre volte è uno sguardo che ti fa sentire meno solo.
Quello che ho capito è che la felicità vive nei momenti di verità: quando sei connesso davvero a quello che stai vivendo, quando non stai fingendo, quando ti senti parte di qualcosa. E forse, più che cercarla, la felicità va lasciata accadere.
Cosa possiamo imparare dai senzatetto di New York, gli “elefanti invisibili”?
Possiamo imparare che la dignità umana non ha nulla a che fare con ciò che possiedi.
A New York ho incontrato persone che avevano perso tutto, ma che continuavano a tenere viva una scintilla: un gesto gentile, un ricordo prezioso, una speranza.
E ho capito che l’invisibilità è una forma di violenza silenziosa: cammini in mezzo agli altri ma è come se non esistessi.
Quello che mi ha colpito di più è che molte di queste persone non chiedono solo cibo o soldi. Chiedono uno sguardo. Chiedono di essere riconosciute come esseri umani.
Mi ha fatto riflettere sul fatto che la felicità non sta nel non avere problemi… ma nel sentirsi visti, accolti, riconosciuti.
E loro, con la loro presenza silenziosa, ci ricordano ogni giorno quanto è fragile il confine tra "noi" e "gli altri.
Tu sei felice? E cosa significa per te, oggi, essere felice? C’è qualcosa di molto semplice, quasi banale, che ti rende felice ogni giorno?
Sono felice? Non sempre. Ma ho imparato a riconoscere quando lo sono.
Per me la felicità non è un’emozione euforica. È qualcosa di più intimo. È sentire che quello che stai facendo ha un senso. Che sei nel posto giusto, con le persone giuste, o anche solo con te stesso… ma in pace.
Oggi la felicità, per me, è legata alla presenza.
Quando sono presente a ciò che vivo, quando smetto di rincorrere, confrontare, sovraccaricare.
E ci sono cose piccole, quasi invisibili, che mi fanno sentire bene:
una colazione in silenzio, un messaggio da un amico lontano, un tramonto visto da un tetto, una persona che mi racconta qualcosa di sé per la prima volta.
La felicità, spesso, è nella semplicità. Ma bisogna avere il coraggio di rallentare per vederla.
C’è una frase, un gesto o un incontro che, dai tuoi viaggi, ti è rimasto dentro per sempre?
Sì, più di uno. Ma ce n’è uno in particolare che non riesco a dimenticare.
Ero in Bangladesh. Ho incontrato una donna che lavorava in una fabbrica di abbigliamento.
Le ho chiesto: “Qual è il tuo sogno?”
Lei ha abbassato lo sguardo, ci ha pensato un attimo e ha risposto:
“Vorrei che mia figlia un giorno potesse lavorare con le mani pulite.”
Quella frase mi ha gelato.
Dentro c’era tutta la sua vita. Il dolore, la fatica, l’amore, il futuro.
Era semplice… eppure potentissima.
Da quel giorno, ogni volta che penso al concetto di riscatto, torno lì. A quello sguardo. A quelle mani.
Ci sono frasi che ti restano dentro per sempre. E ti cambiano, anche se non te ne accorgi subito.
Cosa consiglieresti a chi si sente perso o infelice? Esiste una “ricetta” della felicità che tutti possiamo provare a seguire?
Non credo ci sia una formula valida per tutti. Però so cosa mi ha aiutato quando mi sono sentito perso io: fare spazio. Smettere di riempire ogni minuto, ogni pensiero, ogni giorno.
Quando ci sentiamo infelici, spesso è perché non riusciamo più a sentire cosa ci manca davvero. Il mio consiglio? Inizia da qualcosa di piccolo. Stacca il rumore. Fai qualcosa con le mani. Parla con qualcuno che ti ascolta per davvero. Scrivi, anche solo per te.
E ricorda che il dolore non è una vergogna, ma un passaggio.
La felicità non è “alzarsi felici ogni mattina”. È sapere che anche nei giorni difficili hai un motivo per andare avanti. E quel motivo, spesso, non lo trovi da solo. Ma insieme a qualcuno.
Più buoni di quanto pensiamo
Forse è vero che la felicità è reale quando è condivisa. Il World Happiness Report 2025 — il più grande report sulla felicità, redatto ogni anno dall'Università di Oxford in collaborazione con Gallup — si è concentrato sull'impatto della cura e della condivisione sulla felicità delle persone. E ha scoperto un po’ di cose che non ci aspettavamo (almeno noi).
Ma prima: abbiamo una domanda.
Siamo molto pessimisti su quanto sono buone le altre persone: quando i ricercatori hanno trovato dei portafogli abbandonati per strada, la percentuale di quelli restituiti è stata molto più alta di quanto le persone si aspettassero. (E questo ci sembra incoraggiante).
Il nostro benessere dipende dalla percezione della benevolenza altrui: sapere quanto sono davvero gentili le persone intorno a noi (anche gli sconosciuti), ci fa stare meglio.
Nei Paesi dove la bontà d’animo è più diffusa chi ne trae beneficio sono le persone meno felici: così, la felicità è più equamente distribuita nei posti in cui le persone si aspettano che gli altri siano gentili con il prossimo.
La felicità va sudata
L’olfatto ha una corsia preferenziale che gli dà accesso alla corteccia cerebrale senza passare per il talamo, come succede per gli altri quattro sensi: questo significa che un semplice odore può scatenare emozioni immediate, profonde, e a volte imprevedibili.
È da qui che sono partiti il professore Enzo Pasquale Scilingo e il suo team per un progetto che sembra uscito da un romanzo di fantascienza. Si chiama POTION e cerca di identificare le molecole che il nostro corpo rilascia quando proviamo emozioni intense come la felicità, per capire se queste “fragranze emotive” possono essere percepite dagli altri e influenzare anche il loro stato d’animo.
Spiegata ancora più semplice, il nostro corpo produce odori particolari quando ci sentiamo felici, e questi segnali potrebbero innescare felicità negli altri. I ricercatori usano dei video per indurre uno stato d’animo felice nelle persone, e poi raccolgono il loro sudore per analizzare quali composti chimici vengono rilasciati.
“Se avessimo uno spruzzo di felicità... se riuscissimo a trovare un odore che possa indurre uno stato di felicità, o uno stato positivo generale, penso che potremmo aiutare moltissime persone."
Forse siamo ancora lontani dal riuscire a scoprire di cosa profuma la felicità, ma intanto, se vedi qualcuno felice, tu annusalo (con rispetto).
Non si sa mai.
Il filo continua 🧵
Per approfondire, dai un'occhiata a questi contenuti che non abbiamo fatto noi.
La vita di un sensatetto a New York
È un episodio di Progetto Happiness, il reportage sulla felicità che Giuseppe Bertuccio D’Angelo sta costruendo avventura dopo avventura alla ricerca delle persone più felici sulla faccia della Terra, per dare una risposta alla domanda: ma come ci sono riuscite? In questa puntata lo abbiamo accompagnato per raccontare le storie degli “elefanti invisibili”.Momenti di trascurabile felicità
Esistono felicità trascurabili? Francesco Piccolo chiama così quei piaceri intensi, ma effimeri, che ci capovolgono le giornate da così :( a così :), e li mette a nudo con tanta (tanta!) ironia in questo libro che diverte e stupisce a ogni pagina.What makes a good life?
In questo TED, lo psichiatra Robert Waldinger risponde alla domanda “ma cosa rende una vita qualsiasi una vita felice?” con i dati di uno studio che per decenni ha seguito la vita di 724 uomini: l’Harvard Study of Adult Development. E ci lascia tre lezioni.
Le altre puntate, su altre cose
Zerwas, F. K., Ford, B. Q., John, O. P., & Mauss, I. B. Unpacking the pursuit of happiness: Being concerned about happiness but not aspiring to happiness is linked with negative meta-emotions and worse well-being (2024). Emotion, 24.
Huang, K. J. Does valuing happiness lead to well-being? (2024). Psychological Science, 35.
Catalino, L. I. & Tov, W. Daily variation in prioritizing positivity and well-being (2022). Emotion, 22.
L'ultima domanda sei felice ero a pranzo con delle persone. L'interlocutore deve farsi curare non io e poi deve pure andarsene a quel paese. Dopo tutto cosa ve ne' frega a Voi? a parte andare a caccia di infelici??