Mangiare i pensieri (con Irene Foramiglio)
Questa è Filo, la newsletter che districa le cose che ingarbugliano i pensieri.
“Sono triste e vorrei dirlo a qualcuno. Ma non so a chi. Allora vado in cucina, mangio qualcosa. Poi mangio un’altra cosina. Sento finalmente un po’ di sollievo. Ma dura poco. Mi sento in colpa per aver usato di nuovo il cibo per fuggire da quello che sentivo dentro”.
Oggi parliamo di Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione (DNA), più conosciuti come DCA (Disturbi del comportamento alimentare). Sono condizioni in cui la mente influenza il modo in cui pensiamo al cibo e al corpo.
Tutta la Toscana ha un DCA
Non letteralmente. Ma in Italia soffrono di un disturbo del comportamento alimentare più di tre milioni di persone — un numero che su per giù equivale alla popolazione della Toscana. Dei DCA fanno parte l’anoressia, la bulimia, il picacismo e il disturbo da ruminazione (ma non solo: qui trovi un articolo di approfondimento).
La cosa più importante da sapere è che non si tratta semplicemente di avere un interesse eccessivo per il proprio peso, o un'alimentazione sbilanciata (se fosse così, altro che Toscana). C’è sempre una forte componente psicologica: i disturbi alimentari hanno molto più a che fare con il modo in cui proviamo a gestire le emozioni difficili che con il cibo in sé.
“Come fuochi d’artificio nella testa”
Per chi ha un disturbo del comportamento alimentare, le emozioni sono intense, tumultuose, difficili da gestire. Assomigliano a qualcosa che ti scoppia nella testa improvvisamente e ti travolge.
In uno studio qualitativo condotto in Svezia, nove donne con diverse diagnosi di DCA sono state intervistate per capire come vivevano le loro emozioni1.
Non so dire cosa provo
8 donne su 9 hanno detto di non essere capaci di distinguere le emozioni: “È come se tutto si fondesse insieme e non capisci più cos'è cosa”. Non sapere cosa provavano generava confusione, ansia e il desiderio di avere un interruttore per frenare il flusso emotivo.
Metto su una maschera
Per difendersi dalla vergogna o dalla paura sceglievano di spegnere il cervello. La gioia finiva per essere l’emozione di facciata, veniva usata come una maschera. A lungo termine, questa strategia era dannosa: se usiamo la felicità come una maschera finisce che non sappiamo più riconoscere quando siamo felici sul serio.
Il mio disturbo mi anestetizza
Tutte le donne che hanno partecipato allo studio hanno parlato del loro DCA come un anestetico. “È più facile quando posso fuggire e stare dentro il disturbo alimentare, è più facile quando posso ridurre il mio mondo a questo."
I sintomi e i comportamenti legati al disturbo alimentare erano usati per regolare le emozioni indesiderate. Abbuffarsi, digiunare o fare esercizio fisico le allontanava dall’ansia, dalla tristezza e dalla rabbia che non volevano provare.
I social non aiutano
Internet è quel posto in cui puoi fare 25 milioni di visualizzazioni con un video in cui prepari un sandwich2 (certo, se ti chiami Nara Smith, sei una ex modella e in 90 secondi prepari da zero il pane, il burro d’arachidi e la marmellata di lamponi).
Consumiamo ogni giorno tantissimo food content, cioè video di gente che mangia o cucina. Su TikTok un video della creator Olivia Maher ha dato vita al movimento girl dinner, con oltre 281.000 post che celebrano pasti casuali e decostruiti, e mentre scriviamo su Instagram ci sono oltre 312 milioni di post con l’hashtag #foodporn.
Alcuni studi hanno parlato di “fame visiva” o “sazietà digitale”3. Non c'è nulla che non vada nei video di ricette (a parte le carbonare fatte con la panna), ma il loro consumo eccessivo è stato associato ad abitudini alimentari non salutari4.
Le persone che hanno un DCA interagiscono con il food content molto più della media5. Alcuni ricercatori coreani si sono chiesti perché6.
Hanno scoperto questo:
Alcune li guardano quando hanno fame.
Altre per placare la fame ed evitare di mangiare.
Molte guardano video di abbuffate per sentirsi comprese.
Altre ancora lo fanno per motivarsi a cambiare.
L’intervista: Irene Foramiglio
Abbiamo parlato di social e di cibo con Irene Foramiglio (@irene.foramiglio) che sui social ci mette la faccia e parla senza filtri della sua vita con un DCA.
C’è stato un momento particolare, qualcosa che ti ha fatto capire che il tuo rapporto con il cibo ti stava sfuggendo di mano?
Ho sempre pensato di avere tutto sotto controllo, indipendentemente dall’essere seguita da uno specialista o meno. Avevo la convinzione di avere tutte le conoscenze a riguardo che mi avrebbero permesso di ottenere “il corpo dei miei sogni”. La verità è che queste conoscenze si basavano su delle ferree e rischiose restrizioni, che inizialmente consideravo necessarie all’ottenimento del ‘corpo perfetto’. Tuttavia, con il tempo mi sono accorta che per sentirmi sempre più soddisfatta queste restrizioni dovevano aumentare, e nonostante i miei sacrifici, il mio corpo non pareva diventare perfetto ma sembrava solo sciuparsi.
Ho incominciato a perdere la mia forza fisica e mentale e di conseguenza a perdere il controllo delle mie azioni, sottovalutando le conseguenze. Lì ho compreso che non ero più io ad avere la situazione in mano, ma una forza esterna, che influenzava il mio ragionamento e le mie scelte alimentari.
Pensi che i social media abbiano influenzato il tuo rapporto con l’immagine che hai del tuo corpo e con il cibo?
Ahimè, a mia discolpa sì, purtroppo i social nel mio periodo di più grande vulnerabilità sono stati un’arma a doppio taglio... Pensavo di poterli sfruttare a mio favore per avere la motivazione necessaria per cambiare. Ma il vero rapporto che avevo instaurato, seguendo le creator sbagliate, era del tutto tossico e ossessivo. Ancora non conoscevo l’esistenza di una diversa genetica e distribuzione corporea del peso, tali per cui ognuna di noi accumula diversamente e ha una forma corporea del tutto personale e differente. Seguivo quindi alla lettera i “What I eat in a day” senza preoccuparmi che nutrienti e quantitativi dovevano essere equilibrati in modo differente per la mia salute. E come se non bastasse, in aggiunta a questo, riducevo ulteriormente ciò che potevo considerare malsano e aumentavo viceversa il movimento che mi avrebbe portata a bruciare. Ad oggi provo un certo disprezzo verso la condivisione sui social della propria dieta personale, perché può davvero influenzare negativamente le vittime e coloro che hanno la tendenza a essere triggerati. Pertanto, condivido saltuariamente delle ricette sane e sfiziose, ma niente di più: nulla che possa compromettere il pensiero altrui.
Oggi come ti vedi?
A oggi non posso certamente dire di essere soddisfatta al 100% della mia forma fisica ma ho accettato l’idea che questo non accadrà mai, perché il nostro corpo è esposto a un costante mutamento nel tempo, e non appena pensiamo di esserci abituati a una nostra determinata forma fisica, questa subisce delle modifiche dovute alla routine, all’età e tanti altri aspetti. Sto accettando l’idea di sentirmi soddisfatta quando percepisco di avere un corpo sano, che mi permette di muovermi tranquillamente e che non comprometta la mia quotidianità, in termini di energie fisiche e di autostima.
C’è qualcosa che vorresti dire a chi ha una relazione difficile con il cibo?
Non mi sento all’altezza di dare dei consigli in questo momento, perché sono più che consapevole di non essere ancora in uno stato mentale perfettamente equilibrato con l’educazione alimentare. Tuttavia ci sono dei consigli che in questi anni ho ricevuto da tutte le figure che mi hanno seguita. Il cibo va trattato come un amico, l’idea è quella di costruire una relazione con lui, di coltivarla nel tempo, affinché questo possa garantirci salute e longevità. Si deve costruire un rapporto sano, costruttivo, ma che non ci privi di provare quelle emozioni di condivisione, gusto, euforia. È un rapporto di puro equilibrio, strutturato per farci stare bene e ridurre al minimo i livelli di stress. Penserete: “È impossibile, non riuscirò mai a costruire una cosa simile” questo è chiaro, non lo fate di certo da soli, dovete sempre essere accompagnati da delle figure specializzate che abbiano il massimo dell’esperienza a riguardo e che sappiano indicarvi la giusta direzione, verso il miglioramento di voi, verso una tranquillità fisica e mentale.
Come aiutare una persona con un DCA
Una cosa che dovrebbe valere sempre
Sii gentile, non puoi sapere che battaglia sta combattendo chi hai di fronte: che stia lottando contro un DCA o contro qualcos’altro, la gentilezza funziona sempre.
Non prenderla sul personale
Se rifiuta un invito a cena o a un aperitivo, ricorda che non sta evitando te, ma il suo disturbo. Rispetta i suoi no, i suoi tempi e anche i suoi silenzi.
Le parole sono importanti
Usale sempre con cura: “Ti vedo meglio” non sempre suona come un complimento, potrebbe farle pensare che allora non ha più bisogno di aiuto.
Allontana la sua attenzione dal cibo
Non fare caso a cosa ha nel piatto: astieniti da qualsiasi giudizio su quanto o quanto poco mangia. Non è tuo compito farlo.
Sii paziente
Quando ami qualcuno, vorresti solo vederlo stare bene il prima possibile. Ma la guarigione non è un percorso lineare: ci sono giorni sì, giorni no e giorni nì.
Lascia tracce d’amore
Un post-it con su scritto “Vai bene così come sei”, un bigliettino sul cuscino, una canzone da inoltrare: Ambra Angiolini lo spiega meglio di noi.
Il filo continua 🧵
Per approfondire, dai un'occhiata a questi contenuti che non abbiamo fatto noi.
Fino all’osso
È un film che racconta che cosa significa soffrire di anoressia a vent’anni. N.B.: Può creare false aspettative sugli psichiatri: purtroppo non tutti assomigliano a Keanu Reeves.
Eat Right Now
È un’app creata dal neuroscienziato e psichiatra Judson Brewer, progettata per aiutare gli utenti a sviluppare abitudini alimentari più sane attraverso l'uso della mindfulness.
Hunger
È una canzone dei Florence & The Machine, in cui Florence Welch parla della sua lotta contro un disturbo alimentare e il suo rifiuto di un nutrimento (emotivo, più che fisico): “a sedici anni ho iniziato a fare la fame, perché pensavo che l’amore somigliasse a un vuoto”.
Le altre puntate, su altre cose
Bibliografia
Petersson, S., Gullbing, L. & Perseius, KI. Just like fireworks in my brain – a Swedish interview study on experiences of emotions in female patients with eating disorders (2021). J Eat Disord 9, 24.
https://www.thetimes.com/life-style/celebrity/article/how-nara-smith-got-25-million-hits-for-making-sandwich-09bsx0z50
Yan, J.; Corino & G. Digital Foraging: How Social Media Is Changing Our Relationship With Food And Nutrition? (2019) DigitCult - Scientific Journal on Digital Cultures, [S.l.], v. 4, n. 3, p. 39-46.
Qutteina, Y., De Backer & C., Smits, T. Media food marketing and eating outcomes among pre-adolescents and adolescents: A systematic review and meta-analysis (2019). Obes Rev (12):1708-1719.
Basso, F., Petit, O., Le Bellu, S., Lahlou, S., Cancel, A. & Anton, J. Taste at first (person) sight: Visual perspective modulates brain activity implicitly associated with viewing unhealthy but not healthy foods (2018). Appetite 128 (2018), 242–254.
Singer, J., Von Hoeberg, S., & Pereira, M. Feeding the crave: how people with eating disorders get trapped in the perpetual cycle of digital food content (2023). International Journal of Eating Disorders, 56(7), 1220–1230.