Social malvagi (con Irene Sanguineti)
Questa è Filo, la newsletter che districa le cose che ingarbugliano i pensieri. Esce una volta al mese, ma quella volta si diverte 🙂
Il buono, il brutto e il cattivo
Frances Haugen ha lavorato in Facebook fino al 2021. Cioè fino a quando ha deciso di divulgare 22 mila pagine di documenti riservati che mostrano gli angoli bui dei luoghi digitali che frequentiamo ogni giorno1.
Alcuni di questi angoli hanno risvolti preoccupanti.
Il programma cross check (o XCheck) è un sistema che permetterebbe ad alcuni utenti di alto profilo di pubblicare materiale che include molestie o incitamento alla violenza, senza subire sanzioni2.
Facebook sarebbe consapevole di peggiorare «i problemi di immagine corporea per una ragazza adolescente su tre» e del fatto che «gli adolescenti incolpano Instagram per l’aumento del tasso di ansia e depressione»3.
L’algoritmo lanciato nel gennaio del 2018 favorisce i contenuti che concordano con le nostre opinioni e rafforzano l’idea che abbiamo del mondo. Lo scopo era aumentare l’engagement, cioè il livello di coinvolgimento emotivo degli utenti. Ma in questo modo aumentarono anche le polarizzazioni 4.
È un cybercasino
Queste accuse a Facebook e a Instagram si aggiungono alla lunga lista di critiche rivolte in questi anni ai social media, soprattutto in relazione ai loro effetti negativi sul benessere mentale. Ci sono tre argomenti che tornano spesso.
Il cyberbullismo
Secondo un’indagine del 2023, in Italia il 47,7% dei ragazzi e delle ragazze tra i 14 e i 26 anni è vittima di bullismo o cyberbullismo. I bersagli principali sono l’aspetto fisico, l’origine etnica e l'orientamento sessuale5. Secondo l’Osservatorio sulle tendenze e i comportamenti degli adolescenti, la Generazione Alpha passa circa 7 ore al giorno sul web6.
I disturbi del comportamento alimentare
In Italia circa 500 mila persone soffrono di dismorfofobia: hanno cioè la sensazione di avere difetti fisici importanti, difetti che in realtà non esistono. Se in passato i canoni di bellezza duravano anni, ora dipendono dal trend del momento: si è innescata una dinamica di giudizio perpetuo che ci mette in competizione con migliaia di persone sconosciute. Un chirurgo estetico inglese ha coniato l’espressione Snapchat dysmorphia: «Mi chiedono sempre più spesso un intervento chirurgico che li renda simili a uno scatto di loro stessi, modificato dai filtri Snapchat. Non dicono ‘non mi piace il mio naso’, ma ‘non mi piace come viene il mio naso in foto’»7.
La dipendenza dai social media
In questo caso, l’uso dei social viene portato avanti come strategia di coping: serve cioè a ridurre o evitare stati d’animo e sensazioni spiacevoli8. La persona che ne soffre può sviluppare disturbi d’ansia, depressivi o del sonno, tende a essere maggiormente stressata e insicura, fatica a concentrarsi e a cooperare con le altre persone.
Dobbiamo sempre tenere a mente che sui social le emozioni creano traffico. E che ce ne sono due che funzionano particolarmente bene: l’indignazione e la nostalgia.
Sui social ci scaldiamo perché il paragone continuo con gli altri può farci provare invidia, perché l’anonimato ci aiuta a sfogare la frustrazione senza esporci troppo e perché la rabbia è l’emozione con la più alta capacità di attivazione dell’organismo: ci regala una sensazione maggiore di controllo e inibisce la paura. Insomma, ci sono momenti in cui la rabbia sembra farci stare meglio. E procurarci più like del solito.
Un’Oceania di informazioni
I social hanno anche tante potenzialità. Possiamo paragonarli all'Australia: pieni di pericoli, ma anche di paesaggi affascinanti. La divulgazione online somiglia allo snorkeling intorno alla barriera corallina: ci sono squali e coccodrilli ma vale la pena provare.
Parlare di salute mentale sui social può aiutare a rompere tabù cristallizzati da decenni. Influencer e personaggi pubblici hanno condiviso con i follower disagi e disturbi, ma anche i percorsi di psicoterapia che sono serviti per superarli.
I Millennials e la GenZ sono più sensibili a queste tematiche e più inclini a chiedere un sostegno psicologico: il 35% dei primi e il 37% dei secondi ha cercato il supporto di un professionista della salute mentale9. Più in generale, i social sono i posti in cui stanno le persone, e per divulgare bisogna stare dove stanno le persone.
Ora però veniamo agli squali e ai coccodrilli. La divulgazione via social non è controllabile: capita che si diffondano notizie false e che un disturbo diventi “popolare”, con il rischio di sottovalutare o sovrastimare i propri sintomi.
Ne abbiamo parlato con Irene Sanguineti (@psyrenesanguineti) dottoressa in psicologia, scrittrice e divulgatrice, che usa i social molto bene per sensibilizzare le persone su tematiche relative alla salute mentale.
Carote e pizzette
Se autodiagnosticarsi malattie su Google non è un’ottima idea, lo è ancor meno trasformare i post e le storie di Instagram in testi sacri: lo smartphone non può risolvere tutti i nostri problemi. Può però darci consigli e spunti di riflessione.
Allo stesso tempo, provare l’esperienza di un digital detox può aiutarci a recuperare qualche abilità prosociale (e a migliorare la capacità di concentrazione che abbiamo perso su TikTok). Ecco alcuni consigli pratici.
Introduci dei limiti orari. Lo smartphone ti ricorderà di disconnetterti dopo tot minuti, o potrà attivare automaticamente la modalità “non disturbare”, che disattiva le notifiche nelle ore che hai deciso di dedicare ad altre attività.
Riduci il feed. Se seguire Gigi Hadid alimenta le tue insicurezze, smetti di farlo. Liberati di alcuni dei profili che non appartengono alle tue conoscenze dirette: avrai meno occasioni per paragonare la tua vita a quella delle altre persone.
Nascondi le icone. A volte vorremmo solo guardare l’ora sul telefono, ma lo sguardo ci scappa sulla porzione di schermo sbagliata: quella con le icone dei social. Nasconderle in seconda o terza pagina, magari all’interno di una cartella, ti aiuterà a trovare nuovi modi per combattere la noia.
Trova dei sostituti salutari. Riempire il tempo libero con attività e hobby soddisfacenti potrebbe aiutarti a gestire l’ansia dovuta alla disconnessione. E aiutare alcune aree del cervello a ricordarsi di essere al mondo. Questo nuovo spazio può darti la possibilità di sperimentare.
E magari di scoprire un insolito talento per il giardinaggio o la cucina.
Il filo continua 🧵
Per approfondire, dai un'occhiata a questi contenuti che non abbiamo fatto noi.
Vuoti da riempire. Il diario delle mie emozioni
È il diario terapeutico pensato da Irene Sanguineti. In psicoterapia si chiama journaling, ed è un modo per conoscersi meglio ed elaborare le proprie fragilità. Mettere nero su bianco le emozioni può aiutare a capirle meglio, e a capire meglio noi e il rapporto che abbiamo stretto con il mondo. È un libro non libro che non ha autore, perché quel ruolo appartiene a noi.
The social dilemma
È un docufilm del 2020 che esamina la diffusione dei social network e le conseguenze causate da questa ascesa. Lo fa mostrando due punti di vista diversi: quello di Ben, un ragazzo dipendente dai social, e quello di alcuni professionisti della Silicon Valley. L’attenzione è puntata sulle implicazioni etiche e sociali dell’uso della tecnologia, e il mantra forse lo conosci già: “se non stai pagando per il prodotto, il prodotto sei tu”.
Nosedive
È il primo episodio della terza stagione di Black Mirror. I protagonisti si muovono all’interno di un mondo distopico, un social network catapultato nella realtà e reso abitabile. Il telefono consente di interagire con i profili delle altre persone, mentre delle lenti speciali permettono ai personaggi di conoscere l’identità e la “valutazione” altrui. Chi sta sotto un certo punteggio perde il proprio posto nella società. Vivere diventa una corsa alla perfezione, in cui inciampare significa perdere tutto.
Bereal
È un social network francese che si rivolge a tutte le persone che si sentono vittime della pressione e delle aspettative di una società che finge di essere perfetta, performante, flessibile. In momenti casuali della giornata, una notifica ci avvisa che è il “Time to be real!”: da questo istante abbiamo due minuti esatti per scattare e postare una fotografia, che non è possibile ritoccare. Due minuti per essere davvero noi.
Girlhood, social media e identità al femminile - con Caterina De Biasio
È la seconda puntata del podcast Glamorama, disponibile su Spotify. Parla del fenomeno social chiamato Girlhood, un trend basato sull’enfatizzazione della femminilità. Questo termine ne abbraccia molti altri, attraverso i quali le ragazze della Generazione Z interpretano ed esplorano la propria identità. Rivendicando anche il diritto di concedersi un po’ di leggerezza.
Le altre puntate, su altre cose
Dietro Filo ci siamo noi: ci piacerebbe se ci fossi anche tu. Facci sapere cosa funziona e quello che dovremmo migliorare.
Bibliografia
https://www.theguardian.com/technology/2021/oct/24/frances-haugen-i-never-wanted-to-be-a-whistleblower-but-lives-were-in-danger
https://www.wsj.com/articles/facebook-files-xcheck-zuckerberg-elite-rules-11631541353?reflink=desktopwebshare_permalink
https://www.wsj.com/articles/facebook-knows-instagram-is-toxic-for-teen-girls-company-documents-show-11631620739?reflink=desktopwebshare_permalink
https://www.wsj.com/articles/facebook-algorithm-change-zuckerberg-11631654215?reflink=desktopwebshare_permalink
https://terredeshommes.it/comunicati/1-adolescente-su-2-vittima-di-bullismo-o-cyberbullismo/
https://www.focus.it/scienza/salute/salute-l-indagine-tra-selfie-e-social-adolescenti-da-7-a-13-ore-sul-web
https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/i-social-e-lansia-da-paragone-cosi-i-filtri-hanno-distorto-il-valore-della-bellezza/
https://it.wikipedia.org/wiki/Strategie_di_adattamento
Bethune, S. (2019, 1 gennaio). Gen Z più propensi a segnalare problemi di salute mentale. Monitor on Psychology , 50 (1). https://www.apa.org/monitor/2019/01/gen-z
Il bene ed il male delle tecnologie, che servono tutte per progredire ma serve soprattutto l'intelligenza umana per capire come gestirle
La scelta di intervistare su questo tema una laureata non abilitata, quindi NON una professionista, è parecchio discutibile. Alcune delle sue affermazioni mi rendono perplessa.