Senti chi parla (con Vera Gheno)
Questa è Filo, la newsletter che districa le cose che ingarbugliano i pensieri. Esce una volta al mese, ma quella volta si diverte 🙂
Francamente io ti fischio
La Gomera è un’isola spagnola tonda e concava, piena di sabbia e di palme: uno di quei posti che sembrano fatti apposta per i social media. Potresti immaginarla popolata da travel blogger e da qualche tucano che canta così.
Ma quello che hai ascoltato non è un tucano: è Giovanni che dice a Domingo “ho munto tutte le capre”. E questo è Domingo che dice a Giovanni “oggi sono malato”. Da secoli i pastori dell'isola comunicano con il silbo gomero, una lingua fatta di fischi, nata per trasportare le informazioni tra i valloni dell'isola, dove le parole si trasformerebbero in sussurri.
Il silbo gomero ha senso lì, a La Gomera; sarebbe fuori posto da altre parti. È quindi una buona scusa per parlare della teoria della relatività linguistica1, secondo cui a lingue diverse corrispondono diverse visioni del mondo.
Il linguista Wilhelm von Humboldt scrisse che “ogni lingua traccia intorno al popolo cui appartiene un cerchio, da cui è possibile uscire solo passando nel cerchio di un’altra lingua”. Parecchio tempo dopo, Edward Sapir e Benjamin Lee Whorf si spinsero oltre, ipotizzando che lo sviluppo cognitivo delle persone sia influenzato dalla lingua che parlano, e quindi che le parole che usiamo determinino i nostri pensieri2.
Oggi l’ipotesi di Sapir e Whorf viene definita “controversa”, un modo gentile per dire che non è vera, o non del tutto. Ma ci sono abbastanza prove per poter dire che esiste un legame tra il linguaggio e le nostre percezioni: è anche per questo che è importante fare attenzione alle parole che usiamo.
Perché parliamo?
Secondo l’archeologo Steven Mithen, il primo ominide a fare uscire dalla bocca suoni meno simili ai grugniti e più vicini alle parole fu l’Homo Erectus, circa 1,6 milioni di anni fa3. All’epoca aveva già cominciato a costruire armi e utensili complessi, a cacciare in maniera organizzata e a migrare al di fuori dell’Africa.
Cambiamenti di questo tipo non potevano avvenire senza l’aiuto di qualche parola: come tramandi saperi così articolati senza il linguaggio? Come coordini le retate di caccia? Come organizzi un viaggio lungo e impegnativo? Come riprogrammi la vita in un nuovo contesto ambientale? In poche parole, come sopravvivi?
Ma se l’obiettivo fosse stato solo questo, il linguaggio si sarebbe limitato alle questioni pratiche, e oggi non avremmo parole come “pleonastico”, “ampolloso” e “luculliano”, che non ci servono quasi mai ma ogni tanto sì.
Lo psicologo evoluzionista Geoffrey Miller ha una teoria: la lingua si è impreziosita per aiutarci a fare colpo e trovare partner. Ancora oggi può permetterci di ottenere uno status sociale più alto e di esercitare potere sulle altre persone.
Parole che ahia
In Messico due settantenni non si parlano più ed è un problema. Questi signori malmostosi sono gli ultimi parlanti dell’ayapaneco, una lingua molto antica che a questo punto rischia l’estinzione (mezzo Yucatán sta cercando di coinvolgerli in un progetto di insegnamento ai giovani della comunità)4.
Ma smettere di comunicare non è l’unico modo per allontanare le persone: lo si può fare benissimo parlando, e con risultati migliori.
Il nostro cervello è più sensibile alle parole negative
Alcuni studi hanno dimostrato che gli insulti hanno il potere di catturare immediatamente la nostra attenzione, perché il loro significato emotivo viene recuperato dalla memoria a lungo termine5. Mentre i complimenti tendono a passare inosservati: soprattutto quelli che riteniamo incoerenti con l’idea che abbiamo di noi.
Gli insulti ci fanno molto male
Le persone che da giovani sono state esposte all’abuso verbale tra pari hanno il doppio delle possibilità di cadere in depressione, quasi il quadruplo di avere un disturbo d’ansia e un rischio dieci volte maggiore di sviluppare la dissociazione6.
La scuola media è un posto particolarmente pericoloso
Mentre l’aggressività fisica tra pari diminuisce nel periodo che va dagli 8 ai 18 anni, l’abuso verbale raggiunge il suo apice proprio fra gli 11 e i 15 anni, per poi decrescere.
Insomma: le parole pesano
Ne abbiamo parlato con Vera Gheno (@a_wandering_sociolinguistic), sociolinguista, autrice e attivista. Ha collaborato con l’Accademia della Crusca per 19 anni, ha fatto tantissima divulgazione e ha anche trovato il tempo di creare Amare parole, un podcast sul linguaggio e i suoi cambiamenti.
Paperino non è un fallimento (e neanche tu)
Esistono modi più funzionali degli insulti per ottenere un cambiamento attraverso le parole.
Assertività
Se la comunicazione fosse una scala, sui gradini più bassi ci sarebbe lo stile comunicativo passivo, tipico di chi nasconde ciò che sente e non fa valere le proprie ragioni, perché prova imbarazzo, ansia o senso di colpa.
Su quelli più alti troveremmo lo stile comunicativo aggressivo, basato sulla prepotenza e sull’egocentrismo, sulla necessità violenta di predominare e calpestare i diritti e le opinioni altrui.
In mezzo c’è lo stile assertivo, cioè la capacità di esprimere in modo chiaro ed efficace le nostre emozioni e opinioni, senza offendere o aggredire chi abbiamo davanti. Allenare l’assertività significa imparare a dire ciò che vogliamo senza lasciare indietro noi e sovrastare le altre persone7.
Defusione
Quando il nostro dialogo interiore ci fa stare male, possiamo provare a depotenziare le parole. Significa mettere una distanza fra noi e loro, per riuscire a vedere i nostri pensieri per quello che sono.
Ecco un esercizio di defusione: prova a concentrarti per 10 secondi su un pensiero negativo che hai su di te (per esempio “sono un fallimento”). Poi cantalo sulle note di una melodia allegra, come Il ballo del qua qua o Buon compleanno. Puoi anche immaginare che a farlo sia un personaggio buffo (come Paperino)8. Sembra una cosa stupida, ma provaci lo stesso.
Poi torna a sintonizzarti su di te: dovresti avvertire un senso di separazione dal pensiero.
Che parola strana
Ti è mai capitato di pronunciare così tante volte una parola da trovarla strana e senza significato? Questa sensazione si chiama jamais vu: la avvertiamo quando il nostro cervello percepisce come insolito qualcosa che dovrebbe essere familiare.
Il jamais vu è stato indagato da un esperimento della University of St. Andrews, in cui veniva richiesto di scrivere moltissime volte un termine di cui si conosceva il significato. La maggior parte delle persone smetteva di farlo, in media, dopo 33 volte: non per stanchezza, ma per il senso di alienazione nei confronti della parola.
Il responsabile dell’esperimento raccontò di aver già provato questa sensazione per strada, mentre guidava: disse di aver avvertito un senso di estraniazione, che lo costrinse a fermarsi sulla corsia di emergenza per “resettare” l’elaborazione delle informazioni e ritrovare familiarità con il volante.
Il jamais vu potrebbe quindi essere un segnale cognitivo che ci dice che qualcosa è diventato «troppo automatico, troppo fluido, troppo ripetitivo»: un modo efficace che la nostra mente ha trovato per recuperare il controllo e farci concentrare su azioni che stiamo iniziando a svolgere con troppa superficialità9.
Il filo continua 🧵
Per approfondire, dai un'occhiata a questi contenuti che non abbiamo fatto noi.
Amare parole
È il podcast di Vera Gheno. Le puntate escono ogni domenica e trattano delle questioni linguistiche emerse durante la settimana: neologismi e shitstorm, politicamente corretto e schwa, Lilly Gruber ed Enrico Mentana. Ma anche di molte altre cose, tutte disponibili su Spotify o nell’app del Post (che produce il podcast).
Nell
È un film del 1994 ispirato a eventi realmente accaduti: Jodie Foster interpreta Nell, una ragazza cresciuta in una casa isolata nei boschi. A causa di una paralisi facciale, la madre le ha insegnato un linguaggio disarticolato e infantile, rendendola incapace di comunicare con il resto del mondo. Quando la mamma muore, Nell è costretta a confrontarsi con una società che non parla la sua lingua.
Questo monologo di Paola Cortellesi
Nel 2018, durante i David di Donatello, l’attrice e regista Paola Cortellesi presentò un elenco di parole ambivalenti. Declinate al maschile avevano un significato neutro o positivo; declinate al femminile acquisivano significati sessuali, triviali o squalificanti. Una lista che dimostra che le parole rivelano certi tratti della società che le usa.
Lessico famigliare
È il romanzo autobiografico con cui Natalia Ginzburg vinse il Premio Strega nel 1963. Per raccontare la vita e le abitudini della sua famiglia, Ginzburg si concentra sulle parole: i suoi ricordi passano da frasi, modi di dire ed espressioni gergali che fanno rinascere i volti e le azioni dei personaggi.
Chants of Sennaar
È un videogioco del 2023 sviluppato da Rundisc. In una torre di un mondo distopico vivono cinque popoli che parlano cinque lingue diverse: i Devoti, i Guerrieri, i Bardi, gli Alchimisti e gli Anacoreti. Il giocatore deve esplorare la torre e interpretare i glifi e le strutture sintattiche che incontra, per riportare il dialogo fra le caste che hanno smesso di parlarsi. Il tutto grazie a un taccuino, indizi sparsi e un bel po’ di intuizione.
Le altre puntate, su altre cose
Dietro Filo ci siamo noi: ci piacerebbe se ci fossi anche tu. Facci sapere cosa funziona e quello che dovremmo migliorare.
Bibliografia
https://www.treccani.it/magazine/chiasmo/storia_e_filosofia/Percezione/percezione_sgl_tale_idioma_tale_nazione.html
https://www.linguisticamente.org/lingue-e-pensiero/
https://www.focus.it/cultura/storia/cosi-parlo-l-homo-erectus-a-quando-risale-l-uso-del-linguaggio
Suslak, Daniel. (2011). Ayapan Echoes: Linguistic Persistence and Loss in Tabasco, Mexico. American anthropologist. 113. 569-81. 10.1111/j.1548-1433.2011.01370.x.
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fcomm.2022.910023
https://ajp.psychiatryonline.org/doi/pdf/10.1176/appi.ajp.2010.10010030
https://www.serenis.it/specializzazione/assertivita
https://www.counsellingconnection.com/index.php/2014/06/24/mindfulness-techniques-defusion-exercises/
https://www.ilpost.it/2023/09/27/jamais-vu/
Mail Graditissima e per nulla "pleonastica" 😉 davvero un ottimo lavoro, grazie
sono molto contenta di ricevere il filo, leggo con molta attenzione, grazie